
“Nuove Antropologie” è un ciclo di incontri che abbiamo pensato con l’obiettivo di dare spazio a dialoghi su alcune delle direzioni della ricerca antropologica che non sempre trovano risalto negli studi canonici sulla disciplina.
Il seminario si sviluppa intorno a due domande principali che attraversano tutti gli incontri: in cosa consiste questo approccio? e quale contributo particolare offre questo approccio all’antropologia?
In questo approfondimento il discorso è presentato come proveniente da una voce singolare; nella realtà,
invece, l’incontro è stato un dialogo plurale che ha coinvolto interventi complementari degli ospiti e degli
altri presenti.
L’antropologia applicata è l’impiego di conoscenze antropologiche al di fuori dell’accademia, per trovare le soluzioni e i metodi migliori e poter affrontare vari problemi da un punto di vista diverso rispetto a quello delle altre discipline. Nella pratica, l’antropologia applicata può essere molto varia, da brevi consulenze a ricerche ad ampio raggio, fino a esperienze che accompagnano lǝ antropologǝ per tutta la vita, pur con delle discontinuità temporali. Questo approccio porta a una ricerca-azione, in cui si produce una conoscenza ibrida fra l’antropologia classica e gli altri saperi.
A lungo in netta contrapposizione all’antropologia “pura,” l’applicazione di questo sapere non era vista di buon occhio e, anzi, attivamente sconsigliata. Non è raro che alcune delle esperienze di questo tipo venissero espunte dai curricula perché considerate di livello inferiore alle ricerche accademiche. Nella realtà, però, il ricercatore si ritrova quasi sempre a fare entrambe le cose; non esiste unǝ antropologǝ teoricǝ e unǝ applicatǝ con percorsi distinti. La carriera unisce esperienze di ricerca più pura a momenti di applicazione dei risultati.
L’antropologia applicata affonda le sue radici nel contesto coloniale della fine del XIX e degli inizi del XX secolo. In questa fase iniziale, lǝ antropologǝ collaboravano strettamente con le amministrazioni coloniali, fornendo conoscenze utili alla gestione e al controllo delle popolazioni locali. Questo tipo di intervento era giustificato dalla convinzione che la comprensione delle culture indigene potesse contribuire a un’amministrazione più efficiente dei territori conquistati, ma sollevava anche importanti questioni etiche sul ruolo politico e sociale dellǝ antropologǝ.
A partire dagli anni ‘30 e ‘40 del Novecento, iniziano a emergere critiche etiche nei confronti del ruolo
dellǝ antropologǝ all’interno dei sistemi coloniali. La disciplina entra in una fase di riflessione e
ridefinizione, in cui si avvia il dibattito sulla distinzione tra un’antropologia “pura”, teorica, e
un’antropologia “applicata”, orientata alla risoluzione di problemi concreti.
Negli Stati Uniti, tra gli anni ‘40 e ‘60, l’antropologia applicata si consolida grazie al coinvolgimento
dellǝ antropologǝ in progetti governativi e militari, specialmente durante e dopo la Seconda guerra mondiale.
In questo contesto nasce l’“action anthropology”, un approccio che coniuga la ricerca con l’intervento diretto
nelle comunità, con l’intento di promuovere cambiamenti sociali positivi. Lǝ antropologǝ si trovano a lavorare
su tematiche legate allo sviluppo, all’educazione, alla salute pubblica e all’integrazione culturale.
Con gli anni ‘60 e ‘70, l’antropologia attraversa un periodo di contestazione e ridefinizione profonda. In un
clima segnato dai movimenti per i diritti civili, dalla decolonizzazione e dalle proteste contro la guerra,
moltǝ antropologǝ iniziano a mettere in discussione il rapporto tra la disciplina e il potere. L’antropologia
applicata si avvicina così a posizioni più critiche e partecipative, orientandosi verso forme di intervento
sociale legate all’attivismo politico, alla militanza e alla solidarietà con i gruppi marginalizzati.
Dagli anni ‘80, l’antropologia applicata si istituzionalizza sempre più, trovando spazio stabile all’interno
delle università, delle organizzazioni non governative, degli enti pubblici e del settore privato. In questa
fase contemporanea, la disciplina si apre a una vasta gamma di ambiti di intervento: dallo sviluppo
sostenibile alla salute globale, dalle migrazioni alla mediazione interculturale, dalle politiche ambientali
alla cooperazione internazionale. L’attenzione etica, la responsabilità sociale e l’approccio collaborativo
diventano elementi centrali del lavoro antropologico applicato, contribuendo a definire una “nuova”
antropologia pubblica, capace di dialogare con la società e di partecipare attivamente alla trasformazione dei
contesti in cui opera.
A partire dal 2012, in Italia, è avvenuto un importante cambiamento: è stato avviato un importante dibattito nei confronti di questa modalità di fare antropologia, marcato da una nuova apertura, che ha portato alla fondazione della Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA) e al suo primo convegno nazionale (Lecce, 13-14 dicembre 2013). L’idea di base era quella dell’incontro, di una condivisione della conoscenza per un arricchimento reciproco. Punto fondamentale dell’antropologia applicata è quello di portare i saperi dell’antropologia nel dibattito e nelle questioni pubbliche, far interagire lǝ antropologǝ con le altre professionalità. L’apertura non risulta solo da un ampliamento delle traiettorie lavorative possibili, ma anche da un generale avvicinamento della disciplina all’immaginario pubblico. Perché l’antropologia si applichi al mondo reale, c’è bisogno che esca dalla sua torre d’avorio e si smarchi delle rappresentazioni esotizzanti da cui è ancora investita.
Restano attive tante posizioni diverse fra lǝ antropologǝ, che rispecchiano la varietà della disciplina e del modo di costruire la sua conoscenza. Evidenti sono i due poli principali: chi è a favore all’applicazione dell’antropologia e chi è, invece, più restio (Tosi Cambini, 2021). La maggior parte degli interessati si pone sullo spettro fra questi due poli. È interessante, su questo argomento, il carteggio fra Tullio Seppilli e Antonino Colajanni (Benadusi, 2020) sugli usi sociali dell’antropologia. Una delle mozioni principali ai risvolti applicativi della disciplina risiede sicuramente nel rapporto ambiguo che si viene a creare fra l’etica e la ricerca scientifica. Non è un mistero che l’antropologia applicata abbia mosso i primi passi all’interno del sistema coloniale, e questo retaggio scomodo resta oggi alla base di molte delle tensioni dentro i discorsi sulla disciplina. Le origini, però, non definiscono l’intera traiettoria, e bisogna riconoscere l’utilità che si può ricavare da una collaborazione fra saperi diversi per poter trovare soluzioni a problemi attuali. Credere che applicare le proprie competenze ad un campo di cui non si condividono tutti gli aspetti comprometta la validità della propria posizione va contro quella negoziazione che è al centro dello sforzo antropologico.
L’antropologia fornisce importanti strumenti per analizzare le situazioni sociali e, scambiando le proprie conoscenze con quelle di altre discipline e di altre istituzioni, si possono costruire delle basi sempre più solide per l’azione di tutti gli indirizzi di ricerca, puri e applicati.
Il discorso sull’antropologia applicata si inserisce anche in quello più generale sulla professione dellǝ
antropologǝ. Definirla, riconoscerla e promuoverla. A questo proposito, l’Associazione Nazionale Professionale
Italiana di Antropologia (ANPIA) ha da poco pubblicato il primo report sull’antropologia professionale in
Italia (2025). Lǝ antropologǝ, quando si pone in contesti applicativi, difficilmente è inquadratǝ nella sua
professione e, spesso, viene associatǝ a figure già affermate ma più generiche. Il campo dell’antropologia
applicata è da tempo molto attivo ma solo negli ultimi decenni si è iniziato a imporre come degno di
riconoscimento.
Istituzioni come la SIAA possono far pensare ad un rafforzamento della divisione con la ricerca pura ma,
tramite i convegni, promuovono piuttosto il dibattito fra le due correnti al fine di mettere in luce le
connessioni già in atto e quelle possibili. Inoltre, come ANPIA, concorre a delineare il mestiere dellǝ
antropologǝ come figura al pari di altre e a negoziare le sue capacità in un mondo che sta ancora imparando
cosa sia l’antropologia. Le competenze antropologiche, oggi, sono sempre più richieste ma la professionalità
ad esse collegata deve ancora diffondersi in pieno.
Da questo punto di vista, uno dei limiti deriva dall’ideale dell’etnografia come obiettivo di ogni antropologǝ. È sempre più difficile che si conducano ricerche in solitaria, risiedendo per mesi in una comunità. Ed è difficile anche portare i risultati ottenuti a un livello generale. L’antropologia applicata è uno dei modi che abbiamo per esplorare l’adattabilità della disciplina e degli strumenti che ci fornisce per rispondere a problematiche macro e micro-sociali.
Bibliografia per approfondire
È possibile consultare il programma esteso di tutti i convegni della SIAA. Inoltre, la società porta avanti la pubblicazione semestrale open access di "Antropologia Pubblica".
- Benadusi, M. (2020). Il carteggio Seppilli-Colajanni. Riapplicare l’antropologia applicata in Italia?. Antropologia Pubblica, 6(2), 243-254. https://doi.org/10.1473/anpub.v6i2.205
- Severi, I. (2018) Quick and dirty. Antropologia pubblica, applicata e professionale. Firenze, Editpress
- Tosi Cambini, S. (2021). Le anime della Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA). Antropologia Pubblica, 7(1), 217-222. https://doi.org/10.1473/anpub.v7i1.220
- Zanotelli F., Bachis F., Fanoli F., Trentanove F., Mucciardi M. (2025). Primo Report sull’antropologia professionale in Italia. Roma, ANPIA Pubblicazioni.