
“Nuove Antropologie” è un ciclo di incontri che abbiamo pensato con l’obiettivo di dare spazio a dialoghi su alcune delle direzioni della ricerca antropologica che non sempre trovano risalto negli studi canonici sulla disciplina.
Il seminario si sviluppa intorno a due domande principali che attraversano tutti gli incontri: in cosa consiste questo approccio? e quale contributo particolare offre questo approccio all’antropologia?
In questo approfondimento il discorso è presentato come proveniente da una voce singolare; nella realtà,
invece, l’incontro è stato un dialogo plurale che ha coinvolto interventi complementari degli ospiti e degli
altri presenti.
Ovviamente non esiste una risposta univoca, ogni individuo può mettere il confine fra politica e scienza in un
punto diverso. Lo stesso libro che oggi fa da cornice all’incontro non offre risposte nette ma solo
riflessioni, critiche ed esempi che vogliono alimentare un dibattito sempre più ampio sulla politicizzazione
dell’antropologia.
Nella pratica, le etnografie militanti non sono un indirizzo specifico di studio, che porta a indagare
particolari soggetti o campi ben definiti, né un’etichetta che si può attaccare a priori ad una pubblicazione.
Sono piuttosto un atteggiamento, una postura che si adotta durante la ricerca. Non sempre è un fatto
premeditato, la militanza ci si trova a farla a prescindere dalle idee che precedono l’accesso al campo.
L’etnografia militante si rivela nella pratica.
Si può partire con un posizionamento politicizzato ma il campo è altrettanto importante per definire se una
ricerca può essere militante; l’approccio può essere sempre militante, in partenza, ma deve adattarsi alla
realtà con cui si interfaccia. Lo studio di movimenti sociali, politici, forme di attivismo e mobilitazione,
sono gli esempi che più favoriscono la dimensione politica della ricerca. Questa, per essere condotta a fondo,
è necessario che indaghi uno spettro il più ampio possibile delle realtà che ruotano intorno al movimento: dai
suoi membri più intimi, agli elementi di opposizione come istituzioni e altri enti. L’etnografia militante
richiede al ricercatore una presenza in prima persona, un contatto diretto con l’oggetto di studio, e un
impegno critico e politico. L’etnografo deve possedere una sensibilità politica in grado di cogliere le
dinamiche del campo e che gli permetta di leggere le tensioni politiche presenti. Una ricerca può nascere non
politicizzata ma diventare militante in fieri. Allo stesso modo, se i soggetti studiati non sono attivi sul
piano politico, è difficile poter fare un’etnografia militante; il fermento sociale è una condizione
indispensabile.
L’antropologo non ha il compito di sollecitare la dimensione politica di particolari soggetti; deve,
soprattutto, documentare dalle retrovie l’evoluzione di determinati sentimenti. Si rischia, altrimenti, di
sovrapporre o sostituire le istanze locali con quelle personali. Lavorare con le tensioni politiche non è
facile e il ricercatore ha sempre delle responsabilità di cui rispondere.
Un elemento centrale delle ricerche antropologiche è la chiarezza che il ricercatore deve avere nei confronti delle persone incontrate sul campo: bisogna dichiarare le proprie intenzioni e, in contesti politici, anche le proprie posizioni non vanno totalmente oscurate. È difficile esplorare in profondità un contesto complesso con cui non si condividono in alcuna misura le istanze. Un posizionamento neutro, in questi casi, rischia di non portare risultati efficaci.
La questione della restituzione è un altro aspetto complesso che si deve affrontare quando si fa
un’etnografia. Le modalità possono essere varie, così come gli obiettivi; non sempre l’articolo accademico è
la sola opzione, e nemmeno quella preferibile. L’antropologia multimodale, costruendo la ricerca attraverso i
vari media disponibili, sta dimostrando come la complessità di un campo può venire restituita con mezzi
diversi e complementari. Nel caso delle etnografie militanti, l’apertura al pubblico dei propri risultati è un
processo complesso che non può seguire uno schema prestabilito. Le tensioni del campo devono essere mostrate
senza semplificazioni o punti di vista univoci, e si deve aprire la strada anche ad una critica che parta da
dentro.
La restituzione può essere vista come il pegno che si paga per restare su un campo: un modo di validare la
propria esperienza e quella del movimento studiato. Da questo punto di vista, però, l’etnografia finirebbe in
una semplice logica di mercato in cui l’antropologo deve soddisfare coloro che lo ospitano producendo un
lavoro che risalti le loro qualità. La realtà, come spesso accade, è più complessa. Se è vero che, da un lato,
si diventa presenze attive nel movimento e si agisce in suo favore (con opere di comunicazione o partecipando
a cortei, per esempio), dall’altro persiste l’identità più analitica del ricercatore, che problematizza se
stesso e gli altri soggetti che incontra. Partecipare ad un movimento non significa aderire completamente alla
sua linea, e nemmeno voler imporne una propria. Inoltre, i movimenti sono dotati di una propria capacità
comunicativa e difficilmente, oggi, è l’antropologo colui che può davvero fare da megafono per le loro
posizioni.
L’etnografo ha un’identità complessa che non può facilmente essere scissa fra ricercatore distaccato e attivista. I dati prodotti sul campo sono al contempo informazioni etnografiche e oggetti politici; tale ambiguità può essere chiarita dal contesto di uso, anche se solo parzialmente. Il valore dell’antropologia sta anche nella capacità di auto-analisi che si fa nel corso dell’intera ricerca. Ogni campo e ogni restituzione richiedono un approccio diverso, bisogna ragionare sulle responsabilità che si hanno nei confronti delle azioni compiute e raccontate. La sola presenza della figura di un antropologo può influire grandemente sullo svolgersi degli eventi.
Il tutto si complica quando il movimento studiato è in diretta opposizione con le idee personali dell’antropologo. Come comportarsi con le resistenze che si incontrano? Come già detto, è importante che l’etnografo non nasconda il suo ruolo di ricercatore e, in questi casi, la strada forse più semplice è quella di mantenere una neutralità. Costruire un rapporto mantenendo le distanze non è sempre produttivo ma l’obiettivo deve rimanere quello di esplorare le motivazioni che muovono determinate azioni politiche. Ci possono essere momenti in cui si è obbligati a prendere una posizione, e ritorniamo quindi all’importanza della riflessività. È sempre complicato raggiungere la profondità etnografica in un campo ostile, in cui non c’è sintonia né relazione. L’impegno politico, militante, può rimanere saldo e chiaro, ma il risultato rischia di non contribuire alla disciplina. Le divergenze non sono solo politiche, possono essere anche personali, di sensibilità. L’etnografia militante non è una ricerca idilliaca, in cui si capisce a fondo un determinato movimento e se ne portano alla luce le qualità e le criticità senza incorrere in problemi.
L’accoglienza può essere varia, molto si gioca tramite la propria presenza corporea. Bisogna essere coinvolti
nel presente dei movimenti e il corpo è il primo strumento a nostra disposizione. Non tutti i coinvolgimenti
sono uguali e una componente di rischio è sempre insita nella ricerca; ogni azione comprende delle
responsabilità da tenere bene presenti. Se i movimenti studiati fanno ricorso alla violenza, non tutte le
dinamiche sono controllabili e le criticità aumentano. Non possiamo entrare pienamente in tutte le tensioni
che ci si presentano e dobbiamo imparare a riconoscere i limiti che ci si presentano davanti. Umiltà e
prudenza sono degli imperativi che nelle etnografie militanti non vanno mai persi.
In ricerche di questo tipo, c’è spesso l’accordo tacito di non ritorcere le informazioni acquisite contro i
soggetti studiati. Raramente si scrive tutto quello di cui si ha esperienza; l’antropologo deve negoziare la
sua posizione prima, durante e dopo la ricerca. Quando emergono delle forti criticità, c’è da interrogarsi su
quali siano i modi e i tempi giusti per trattarle. Il ricercatore deve riconoscere il proprio dovere etico di
non arrecare danni ingiustificati alle persone con cui entra in contatto.
Le etnografie militanti non sono solo dei libri o degli articoli. Esse sono rappresentate in un vasto campo di
possibilità che si struttura tramite diversi linguaggi, dalla fotografia alle mostre, dalle conferenze alla
musica. Assistiamo ad una moltiplicazione dei registri di scrittura – o di incisione, se parliamo più in
generale – che permette di rendere giustizia alla complessità e alla particolarità dei contesti che andiamo a
studiare.
La ricerca può avere risultati diversi: può gettare luce su contesti ambigui, agire da facilitatrice nei
rapporti interni ed esterni dei movimenti, oppure anche alimentare le stesse tensioni politiche che studia.
L’antropologia produce una conoscenza su cui poi si possono costruire altre relazioni o ricerche. Niente è
isolato o isolabile; uno degli obiettivi principali deve essere sempre quello di un ampliamento delle
competenze dei soggetti coinvolti.
Non ci sono reali punti di arrivo, dal momento che non è possibile avere verità oggettive su quello che ci
circonda. L’antropologia ha dimostrato come una estesa raccolta dei dati e un’intimità col contesto,
accompagnati da un posizionamento aperto e una riflessività critica, possono creare dei risultati credibili e
fertili.
In alcuni casi, tutte queste condizioni sono possibili solo tramite la militanza.
Bibliografia per approfondire:
Gli ospiti di questo incontro hanno pubblicato nel 2020, per Mimesis, il libro Etnografie militanti. Prospettive e dilemmi.
Questi, invece, sono alcuni esempi di etnografie militanti:
- Benadusi, Mara; Lutri, Alessandro; Saija, Laura. (2021). Si putìssi. riappropriazione, gestione e recupero dei territori siciliani
- Herzfeld, Michael. (2005-07-29 – antropologie.it). La via media militante dell’antropologia. Intervista a Michael Herzfeld a cura di Angelo Romano
- Herzfeld, Michael. (2010). Engagement, gentrification, and the neoliberal hijacking of history
- Mazzeo, Agata. (2021). Dust Inside. Fighting and Living with Asbestos-Related Disasters in Brazil
- Saitta, Pietro; Barnao, Charlie. (2012). Autoritarismo e costruzione di personalità fasciste nelle forze armate italiane: un’autoetnografia
- Saitta, Pietro. (2022). Prendere le case. Fantasmi del sindacalismo in una città ribelle